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DFF16, le recensioni dei corti della terza giornata

Di Riccardo Gabriele

Ecco a voi le recensioni dei corti della terza giornata del DFF16!

May I have this seat
Una donna incinta sale un autobus, cerca di chiedere il posto a sedere ad un padre con il figlio e ad uno scossone sta per cadere, l’uomo l’afferra e … 
Sull’equivoco del gesto si sviluppa il resto del corto pakistano, diretto da Tabish Habib, che riesce abilmente a mescolare commedia con il dramma, trattando sia la questione femminile che il problema della distorsione della realtà dei vari strumenti social, facebook, tik tok … 
Un corto che tranne una breve parte iniziale, si sviluppa e si conclude tutto all’interno del bus, regalando tensione, divertimento e dramma.

Only You
Un ragazzo siede su un pontile su un lago, l’espressione è disperata, con un flashback scopriamo della sua felice relazione con Anna.
Questo il corto tedesco diretto da Gerrit Magnus Bedun, che sa alternare stili fiabeschi, romantici e drammatici oltre a narrare un efficace storia di disabilità (il protagonista diverrà cieco) in soli dieci minuti. A questo va aggiunta una buona fotografia che sa valorizzare ogni momento del corto, supportate da ottime rese attoriali: un corto che saprà regalarvi emozioni degni di un film.

Gli atomici fotonici
Il corto realizzato da Davide Morando, è parte di un progetto di laboratorio di cinema di Officine e Mini. Per quanto la qualità faccia trasparire la natura decisamente amatoriale, l’idea di narrare il difficile rapporto tra padre e figlio e come mezzo d’unione la musica non è male. Purtroppo, gli attori sono molto scadenti se si esclude l’interprete del padre che non ha di certo bisogno di presentazioni essendo Giovanni Storti, che tutti conoscono per il trio Aldo, Giovanni e Giacomo.
Chiudendo un occhio sulla parte recitativa, il corto scorre in fretta, regalando tredici minuti di sano intrattenimento oltre che una visione solista di Giovanni.

Broken Roots
Il corto proveniente dalla Giordania di Sarah Eizayat e Asim Tareq, si presenta sin da subito con tonalità cupe. Infatti, iniziamo da un’ambiente deserto che trova al suo centro un albero nero, per poi spostarci nelle sue profondità, lì vediamo un bambino che disegna ed attacca i suoi lavori sulle pareti anch’esse nere sempre con meno entusiasmo.
Una storia di solitudine, di depressione e di isolamento come metterà in chiaro il finale: per quanto stupendo da vedere, il vero neo, resta il non riuscire a caratterizzare efficacemente il personaggio, per il resto un corto emozionante che in soli quattro minuti riesce a scuotere emotivamente lo spettatore.

L’infinito
Non ha di certo bisogno di delucidazioni sulla trama, il corto italiano diretto da Simone Massi, tratto dalla poesia più celebre di Giacomo Leopardi.
Lo stile animato riesce a rendere a pieno la forza dell’immaginazione che sa elevarsi là dove l’occhio umano non può arrivare perché ostacolato da una parete o proprio nel caso del testo leopardiano, da una siepe.
Ottima la chiusura a cerchio e perfetta la prestazione di Neri Marcoré, un corto che in soli due minuti riesce a rendere visibile la potenza della fantasia e del testo leopardiano. 

La Piel Fina
Al centro del corto spagnolo di Lucia Guerro, una ragazza(Isabel) con problema alimentare. La regista rende la tematica, ponendo la telecamera sempre sull’attrice protagonista, in cui ne vediamo ogni espressione che ci permette di entrare efficacemente nel suo problema. Contro pesante: se la protagonista Isabel ne esce al meglio, tutti i vari personaggi di contorno soffrono di una totale mancanza di caratterizzazione, però la resa tecnica così come la fotografia è efficace nel comunicare tutta l’interiorità e le conseguenze anche sociali che sono alla base del corto. Un corto duro che forse con qualche maggiore chiarezza a livello di sceneggiatura, avrebbe giovato.

Slow
Del corto diretto dalla coppia di registi italiani, Giovanni Boscolo e Daniele Nozzi, conviene non sapere nulla, si può solo dire che riesce ad affrontare in maniera assolutamente originale il tema della solitudine e l’invisibilità da parte della società delle persone anziane. Una causa che viene affrontata con la giusta dose d’ironia che ricordo molto l’umorismo dei Monty Python.
Un corto geniale che a differenza di puntare su ritmi frenetici come vuole la società odierna, punta tutto sulla lentezza (con uno stile molto frizzante). Unito ad un’ottima resa visiva e ad una buona sceneggiatura che valorizza ogni dialogo, non può che essere promosso a pieni voti.

Mumy
Unite disegno acquerellato ad una buona CGI e di fronte ai vostri occhi si parerà “Mumy”, corto brasiliano, di Victor Ishihara. Questa è la classica storia di una bambina in cerca di sua nonna. 
La descrizione accurata degli ambienti, della miseria che attraversa e la ricchezza del paesaggio naturale che trova, così ricco da renderlo un sogno ad occhi aperti, fanno sì che la banalità della sceneggiatura non venga percepita.
Tutte le emozioni sono potentemente comunicate a tal punto da far uscire il fanciullino dentro di voi.

Pewen Mapu Kimun
Il documentario cileno di Rodrigo Romero Lineros riesce a mescolare riflessioni tra saggezza e natura parlando di una popolazione Mapuche-Pewenche, che si trova a vivere tra il Cile e l’Argentina. 
Il montaggio e quanto narrato riescono a rendere appagante la visione anche se poi a livello meramente cinematografico non si trovi molto, rimane comunque un ottimo documento che riesce a spiegare origini e stili di vita di un popolo molto particolare.

Interstate 8
Il corto co-produzione tedesca/statunitense vede alla regia Anne Thierne, che si è ispirata ad un fatto di cronaca reale. Nei quindici minuti di durata, assistiamo ad una pluralità di eventi, tutti gestiti perfettamente. 
Il punto di vista dell’intera pellicola coincide con quello di una straniera che proviene dalla Germania. Si trova in macchina con alcuni ragazzi ed una sua compagna diretti ad una festa. Verranno fermati da due agenti e una volta che dichiara di non sapere l’inglese sarà la muta testimone dei vari avvenimenti.
Ottima la decisione della regista di far coincidere lo spettatore nell’ottica di una turista perché esprime molto bene il senso di distacco dalla società americana che ciascun personaggio si trova a vivere, come la protagonista è persa, allo stesso modo anche lo spettatore lo è e la conclusione è perfetta. Una storia non nuova ma raccontata tramite dialoghi ben scritti e con uno spirito quasi documentaristico.

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