Di Riccardo Gabriele
Ecco a voi le recensioni dei corti della quarta giornata
Salvage
All’interno di un antiquario, si svolge il documentario statunitense, diretto da Christopher Boulton. Molto interessante l’idea di coniugare il passato con il presente, dando linfa vitale agli oggetti immaginandoli posseduti dalle anime dei lavoratori.
Il regista riesce a rendere questa sua idea, tramite un ottimo montaggio ed un uso di materiale d’archivio, ottima fotografia dei reperti d’antiquariato e soprattutto nel gestire il passaggio tra diversi stili musicali: meccanico per la macchina da scrivere, evocativo per la canoa che trasmette tutto il senso d’avventura e mistico delle zone raffigurate, malinconica per la parte sulla fabbrica.
Un corto che la dimensione di documentario sta molto stretta perché riesce a dargli una dimensione fantastica senza sminuire tutta la portata reale alla base. Un esperimento interessante e ben riuscito
Il Gioco
Un corto intenso, su due personaggi, un uomo ed una bambina, di cui scopriamo poco a poco i vari dettagli.
Alla regia Alessandro Haber (Il signor Diavolo di Pupi Avati, Il Villaggio di Cartone di Ermanno Olmi) che riesce a dirigere efficacemente un dialogo che sembra portare ad una certa direzione ed invece ne implica tutt’altra.
Ottima la gestione delle luci e delle ombre che riescono a lasciare con il fiato sospeso lo spettatore fino alla fine. Duro da digerire ma efficace, un’ottima prova di regia.
It doesn’t matter
Il corto russo di Revaz Gigineishvili, si dipana in due parti, di cui la prima che sono i primi cinque minuti, vede un lungo monologo di Ksenia Rappoport (La Sconosciuta di Giuseppe Tornatore).
Il monologo che è ripreso in piano sequenza ha al centro tutte le frustrazioni e paure legate all’invecchiamento e all’essere giudicati, ottimamente resa dall’attrice.
Il resto è lo svelamento della realtà dietro i primi cinque minuti, con un ottimo confronto dialogico.
In sintesi, un corto che sa lasciare molto su cui riflettere e comunicare intense emozioni.
Hope
Prendete Pinocchio, mescolatelo a tematiche orientali e al Piccolo Principe ed otterrete “Hope”, della regista cinese Chui Yu-Chieh. La storia è molto semplice, un gigante costruisce un pupazzo per combattere la solitudine e quando verrà in contatto con una bambina magica le chiederà di animare quanto da lui costruito.
Per quanto forse la natura amatoriale si noti, i personaggi sono così ben caratterizzati che verrebbe voglia di vederne una serie incentrata su di loro. Le atmosfere sono buone così come i colori riescono a comunicare la pluralità dei diversi sentimenti e la magia presente nel corto. Se amanti delle buddy stories e delle storie fiabesche troverete pane per i vostri denti.
Sealskin
Il corto islandese, diretto da Ugla Hauksdottir (regista anche di due episodi della serie tv Amazon “Hanna”) affronta sia il tema dell’isolamento padre/figlia sia il legame materno che unisce quest’ultima ad una madre assente, per non chiare ragioni. All’inizio ricorda molto Wild Things con la protagonista che ha quella vivacità e spirito del personaggio protagonista del film di Spike Jonze, poi assume connotazioni più vicine ai toni della “Canzone del mare-Song of the sea” di Tomm Moore, per come riesce ad unire folklore all’interiorità dei personaggi.
Un corto che grazie ad un ottima fotografia riesce a tenere incollati alla storia, trasmettendo tutto il dramma dei suoi personaggi.
A New Place
Un corto americano, realizzato da Jack Scano, che si colloca sullo stesso piano del film recentemente vincitore dell’Oscar a miglior attore, ad Anthony Hopkins, “The father”.
La differenza è che se nel film a prevalere è proprio la psiche della demenza senile e l’impatto con la figlia, qui è indagato l’ultimo momento del marito con la moglie affetta dalla malattia, prima di essere ricoverata nella casa di cura.
Le interpretazioni dei personaggi sono molto intense e la regia non fa altro che lasciare il giusto spazio alla recitazione dei due attori, cui poi si aggiungerà una terza, l’infermeria, ma è un rapido ed intenso momento.
Molto buona l’idea di far partire il corto con un puzzle, su cui si tornerà alla fine, perché ottimo materiale per rappresentare lo stato mentale della moglie. Un corto che in soli otto minuti sa regalare un enorme quantitativo di emozioni.
Ermitano
Il documentario colombiano, diretto da Carlos Rincon e Alejandro Calderon, presenta la baia dell’Utria nel Nord della Colombia, fotografata con grande cura. Ad inserirsi nelle immagini del paesaggio, della fauna, alcune parole di un eremita. Al termine il documentario sa lasciare molto sia in termini di emozioni che di riflessioni.
Hand in the Cap
Nel corto sceneggiato da Niccolò Guaglianone(Essere Jeeg Robot, l’imminente Freaks, Indivisibili) e diretto da Adriano Morelli (La condanna dell’Essere) si narra la storia di una madre di un ragazzo ventenne affetto da gravi disturbi neurologici e motori. La madre cerca in tutti i modi di assecondare il bisogno che sente, emblematica la scena dal medico che nonostante le varie debilitazioni fornisce una risposta che prevede di fatto di annullare del tutto il lato umano.
Se dal punto di vista della sceneggiatura non ci sono problemi, i personaggi sono ben delineati e riesce a mescolare abilmente commedia in una storia altamente drammatica, purtroppo a livello di interpretazione è carente, soprattutto nella madre interpretata da Violante Placido.
Per il resto un buon corto che sa far riflettere e commuovere, il finale è perfetto.
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